Visioni e narrazioni di una città estinta
Personale di Prasad Hettiarachchi
A cura di Simona Cella
Con They come from North Kaiya Collective, in collaborazione con Terzo Paesaggio, 5e6 e Fondazione Pianoterra, continua la ricerca sui linguaggi artistici, i territori e gli immaginari esplorati nella costellazione artistica e laboratoriale scaturita dalla produzione del lungometraggio Still Here di Suranga Katugampala.
La residenza, in linea con la filosofia di Kaiya Collective, risponde ad un’urgenza creativa disobbediente, sganciata da un sistema economico e da meccanismi neocoloniali di sfruttamento di artisti del Global South. L’intera operazione, ideata collettivamente, si appoggia ad una struttura organizzativa leggera e ad un budget sostenibile e nelle prime fasi interamente autofinanziato.
L’opera dell’artista diventa magnete aggregante di una costellazione temporanea che mette in relazione realtà radicate sul territorio e attive in una riqualificazione urbana e culturale con outsider non ancora intercettati da istituzioni, finanziatori o circuiti artistici e culturali.
Nel corso della residenza Prasad Hettiarachchi oltre a confrontarsi con soggetti artistici e culturali si interfaccerà con il circuito diasporico srilankese con il quale progetterà un laboratorio di arte pubblica.
Artista raffinato e engagé, da anni Hettiarachchi osserva e rappresenta le grandi trasformazioni sociali ed urbane causate dalla neocolonizzazione indiana e cinese dello Sri Lanka. I Visitatori (They) arrivano da un Nord che non rappresenta più, o almeno non solo, gli ex colonizzatori europei o gli Stati Uniti bensì nuove potenze mondiali come Cina e India interessate a sfruttare le risorse naturali e sociali dello Sri Lanka, snodo centrale per la Nuova Via della Seta. Fuoco generativo dell’intera ricerca dell’artista è Colombo e in particolare l’impatto del recente sviluppo urbanistico ed architettonico sulla capitale dell’isola. They come from North include una selezione della produzione dell’artista a partire dal 2019 fino ad arrivare alle opere più recenti.
L’allestimento delle opere nelle mostre di Milano, Roma e Brescia utilizza diversi dispositivi espositivi per valorizzare i multipli livelli di lettura e fruizione delle opere.

Innanzitutto la dimensione del cinema presente in forma di trasparenze di alcune opere che permettono allo spettatore di giocare liberamente con il meccanismo della proiezione evocando al tempo stesso i magazzini di gas5, quartiere portuale e mercantile di Colombo. Duplice è la funzione dei tavoli e delle lampade che evocano il lavoro dell’architetto e al tempo stesso invitano ad una lettura delle opere come fossero grandi libri illustrati o mappe geografiche. Centrali sono due oggetti Saravita Box e Carro Armato (Katuru Muvahath) che operano metaforicamente su più livelli. Il Saravita Box è un tipico oggetto urbano contemporaneo usato dai venditori ambulanti di street food, che per attirare i clienti lo personalizzano con decorazioni, luci e suoni, trasformandolo in oggetto performativo, mentre il Carro Armato (Katuru Muvahath), anche esso oggetto performativo, è un affilatrice ambulante che ancora oggi vaga per i mercati di Colombo offrendosi per affilare coltelli e lame.
Le due opere rappresentano il consenso verso il potere e l’oppressione verso il popolo, attraversando il pensiero gramsciano, molto vicino all’artista che dai Quaderni dal carcere si fa ispirare per riflettere su temi quali l’alleanza fra operai e contadini, il rapporto tra intellettuali, classe e partito, lo Stato come combinazione di società politica e società civile di dominio e direzione e l’elaborazione di una nuova filosofia del proletariato.
Costellazione di temi che pare avere la sua scaturigine in una questione nevralgica che l’artista fa emergere tramite personaggi mitologici che vengono rievocati in chiave contemporanea: perché la classe operaia, anche dopo la delucidazione operata da Marx, continua a accettare lo sfruttamento? Cosa le impedisce di costituirsi finalmente come soggetto rivoluzionario? Come possono gli oppressori, i dominanti, avere il consenso degli oppressi, dei subalterni?
Questioni che toccano i meccanismi del potere, rendendo le analisi e le categorie di Antonio Gramsci un riferimento importante anche nello studio dei processi di dominio coloniale e di decolonizzazione. Ecco allora che il pensiero di Antonio Gramsci è attraversato da Prasad Hettiarachchi nel duplice contesto della relazione con lo Stato e con i colonizzatori.

Il potere dunque prende volti nuovi e complessi, come in The Queen, raffinato ed elegante doppio ritratto che sovrappone il volto di un’enigmatica Imperatrice cinese a quello della Regina Elisabetta. Avvolta in un sontuoso manto decorato con rose e spine ed uccelli predatori è la perfetta incarnazione dell’ambiguità e doppio volto delle nuove invasioni.
Nei ritratti nella serie The Architect dove forte è il rimando all’India, geograficamente vicina e storicamente legata allo Sri Lanka da un viscerale rapporto irto di tensioni e contraddizioni. La figura di Gandhi sembra rivivere nel corpo degli architetti, nuovi Guru di un selvaggio sviluppo urbanistico. Appoggiati come asceti a pali da cantiere, hanno corpi e mantelli ricamati da un’intricata e anarchica trama architettonica dove antichi simboli -il cigno, il loto- ormai ridotti a vuoti simulacri navigano tra autostrade, tubature, pale eoliche e minacciose gru. Tondi occhiali da sole schermano gli occhi degli architetti, nascondendo lo sguardo rapace ed indagatore. Allo sguardo nascosto degli Architetti si contrappongono gli occhi raddoppiati dei protagonisti della serie They come from North. Dalle loro teste nascono non più Sacchi ma bolle trasparenti che altro non sono che foto dei cantieri cinesi che hanno invaso l’isola. La trasparenza del materiale rende possibile la magia di un cinema di ombre e libere proiezioni.

Nei disegni dedicati a Slave Island, storico quartiere popolare vittima di una gentrificazione sempre più aggressiva, è il bianco a dominare e a configurare un astratto landscape dove in un raffinato gioco di rimandi simbolici e complesse stratificazioni le architetture tradizionali galleggiano a fianco di minacciosi cantieri, inquietanti creature e corpi mutanti. Qui il bianco, colore tradizionalmente associato al Buddismo e al concetto di purezza, subisce un ribaltamento di significato diventando il colore che assorbe e nasconde la violenza di un potere corrotto e violento che spesso ricorre ad omicidi, rapimenti e depistaggi. E in questo bianco assorbente, ecco apparire, come artigli di rapaci, ganci di imponenti gru che afferrano misteriosi sacchi intrecciati ai capelli degli abitanti. Il Sacco, oggetto centrale ricorrente in tutta l’opera dell’artista, è una scatola magica che contiene memoria, sogni ma anche oggetti e vestiti di un popolo sempre più spesso costretto ad abbandonare la propria abitazione per disastri ambientali, guerre o gentrificazioni selvagge.L’artista non ci mostra l’interno di questi sacchi che nelle opere Our lives in the sack e Sack si fanno anche leggere sculture di cartapesta, materia che già contiene in sé, attraverso le pagine dei giornali con la quale è composta, la cronaca dello Sri Lanka. Ne dipinge però la superficie attingendo ai Racconti di Jataka, immenso patrimonio di racconti e favole della mitologia buddista negli anni stati saccheggiati, censurati, manipolati da ideologie nazionaliste. Hettiarachchi rivisita questo universo in chiave contemporanea e non religiosa rappresentando personaggi mitologici ma ancora molto vivi nell’immaginario popolare. Centrale per esempio la storia di Patachara, principessa che portata alla follia dal dolore per la perdita della propria famiglia trova la via dell’Illuminazione grazie all’incontro con il Buddha. È il mondo immaginario dove trovano rifugio gli abitanti costretti all’isolamento da un’urbanizzazione selvaggia che ha dissolto i legami sociali.

La serie Floating City racconta il sogno di una nuova Colombo dove a fianco di lussuosi palazzi, oasi di benessere in un paese attanagliato dall’inflazione e dalla corruzione di una casta politica arroccata al potere, emerge la sagoma di Port City, città cinese costruita su un’isola artificiale di sabbia prelevata dall’Oceano. Un nuovo lusso costruito con il lavoro di operai costretti a lavorare in condizioni di precarietà economica e insicurezza per costruire palazzi e oasi di benessere.
Lo spettatore è invitato ad attraversare e muoversi fluidamente su più livelli di visione e ascolto: mostra, installazione artistica, esplorazione geografica, performance musicale, cinema espanso. Qualsiasi sia la modalità di fruizione la visione di Hettiarachchi impregnata da un’interpretazione in chiave orientale e postcoloniale dell’ideologia marxista e del pensiero gramsciano, è al contempo arte, manifesto politico e riflessione critica.
Prasad Hettiarachchi

Hettiarachchi originario del quartiere Rajagiriya (Colombo) eredita la passione per l’arte dal padre, artigiano del legno specializzato nella costruzioni di lanterne rituali. Si forma in Pittura Murale e Archeologia presso la Postgraduate Institute of Archaeology, University of Kelaniya, e dopo una breve parentesi nel mondo della pubblicità nel 2010 decide di dedicarsi interamente all’arte. Collabora inizialmente con il Theertha Artists’ Collective per poi concentrarsi in una ricerca personale che lo porta a sperimentare diverse tecniche e linguaggi. Alla produzione di raffinate illustrazioni ispirate all’arte della miniature si aggiungono negli anni l’arte murale, l’intaglio, la scultura, la videoarte, il design e la Land Art.
Dal 2016 al 2022 in collaborazione con il Central Cultural Fund (Matara District Project) realizza importanti interventi di restauro di dipinti di antichi templi buddisti. Dal 2022 entra a far parte di Kaiya Collective, collettivo di artisti multidisciplinari.
Originally published in Kaiya Collective
Simona Cella
Scriptwriter, Producer, Film Critic